- I grenzers
- Articolo di dario Leonardo Toso
Bene o male, chi erano i grenzers, ovvero la fanteria confinaria dell’Impero Asburgico stanziata lungo il confine con l’Impero Ottomano, lo sanno in parecchi: la frontiera tra i due Stati non era mai stata ben definita, e questo portava a continue incursioni da parte dei turchi che razziavano il bestiame, rubavano i raccolti, rapivano donne e bambini per farne schiavi. Questo fino dalla fine del millecinquecento, con la conseguenza dello spopolamento di quei territori, i cui abitanti mano a mano si ritiravano verso l’interno abbandonando le zone di confine.
Appurato che con le guarnigioni militari non si ottenevano risultati se non sporadici e non volendo abbandonare estensioni anche notevoli di terreno all’influenza turca, il governo Asburgico trovò la formula più adatta, quella del contadino-soldato.
Si invogliarono con elargizioni di terreni, esenzione fiscale, donazioni in bestiame e sementi, libertà di culto (per uno stato cattolicissimo era molto importante). Si incentivarono i volontari degli stati tedeschi, sempre presenti nell’esercito Imperiale, a trasferirsi nelle zone di confine all’atto del congedo, e si favorirono migrazioni di “specialisti” quali i coltivatori tirolesi e i tessitori lombardi.
In cambio la popolazione maschile dai 16 ai 60 anni era tenuta per sette mesi all’anno al servizio di guardia confinaria. Inquadrati in battaglioni e poi reggimenti, questi personaggi si dimostrarono fin da subito molto efficaci nel reagire alle incursioni dei turchi; il servizio di frontiera era effettuato da pattuglie di 8 uomini che erano supportati da torri di guardia e un sistema di allarme tramite falò, che segnalavano il pericolo ad una compagnia stanziata “a meno di una mezz’ora di buon cammino”. Battaglioni di formazione prima, e omogenei poi di fanteria confinaria furono impiegati nelle guerre di successione del settecento; conosciuti genericamente come “Panduri”, slavoni, dalmati, croati, valacchi, germanici, transilvani, ungheresi (detti szeckel) componevano questi reparti, caratteristici per la tenuta che ne identificava l’etnia. Nelle formazioni militari il loro ruolo era quello della fanteria leggera dell’epoca: esplorazione, schermaglia, imboscate, azioni di disturbo.
Durante le campagne i confinari sfoggiavano giacche o corpetti di vari colori, cariche di cordoni o alamari, pantaloni aderenti pure colorati e copricapi in feltro, cilindrici o troncoconici che a volte non presentavano neppure i colori o i distintivi imperiali; molto caratteristico il mantello rosso usato quasi da tutti; i transilvani, o “siebenburgen” ne portavano uno nero con una sorta di maniche e un cappuccio. Nel servizio di frontiera la tenuta era ben diversa, la “hausmontur” (potremmo dire “uniforme casalinga”) era costituita da tradizionali indumenti contadini molto meno vistosi: croati e slavoni portavano una giacca marrone scuro con pantaloni bianchi o azzurri, i valacchi giacca grigia e pantaloni bianchi, i transilvani giacche nere e pantaloni azzurri o blu, i trapiantati degli stati tedeschi una uniforme militare totalmente bianca con un tricorno. L’equipaggiamento era realizzato da artigiani delle località di provenienza, in cuoio naturale con l’eccezione della giberna, annerita; lo zaino era sostituito da una bisaccia di stoffa scura, delle sue stesse dimensioni con cinghie in cuoio naturale. E’ da considerare che più che di un’uniforme si tratta di una tenuta, le giubbe erano realizzate spesso dai familiari, e potevano non essere uguali tra loro, con taglio diverso a seconda delle zone e delle etnie e addirittura dell’estro di chi le confezionava. Quello che le uniformava era il colore dei paramani (non sempre anche del colletto), che in combinazione con quello dei bottoni permetteva di identificare i reparti.
Nel 1769 il governo Asburgico decise che la fanteria confinaria dovesse entrare a far parte della Fanteria di Linea, e la prima disposizione emanata riguardava l’adozione dell’uniforme regolamentare dell’Esercito, la “feldmontur” o uniforme da campagna; tale uniforme doveva essere portata quando i reggimenti di confinari partecipavano alle campagne in caso di guerra, mentre per il servizio di confine si sarebbe mantenuta la tradizionale “hausmontur”.
I figurinisti e gli illustratori ci mostrano come avrebbero dovuto essere i grenzers, con il “kaskett” e la giacca bianca con paramani, colletto e risvolti del colore distintivo reggimentale e i pantaloni lunghi alla caviglia con filettature dello stesso colore, cappotto e zaino regolamentari. In realtà, evidentemente per problemi economici o di crisi manifatturiera fu subito disposto che la fanteria confinaria portasse i propri pantaloni tradizionali, mantenesse il mantello (alcuni reggimenti lo avevano ancora nel 1814), e gli zaini continuarono a essere sostituiti dalle bisacce fino allora portate.
Al “kaskett” fu pressoché da tutti preferito, senza che nessuno intervenisse per vietarlo, il tradizionale “klobuk”, una sorta di fez cilindrico di feltro alto 18/20 cm. oppure lo “tschakohaube” troncoconico; le calzature erano in buona percentuale quelle casalinghe, stivaletti alti sopra la caviglia di varie fogge, stringati e non, molto più apprezzate di quelle fornite dall’Amministrazione. Tra l’altro i tre reggimenti slavoni: Brooder, Gradiscaner e Peterwardeiner, da subito avevano chiesto di poter portare anche in campagna la loro “hausmontur” in luogo dell’uniforme regolamentare, cosa che fu loro subito concessa. Diversi altri reggimenti confinari preferirono indossare la loro tenuta tradizionale ben più comoda dell’uniforme della Linea (spesso stretta e mal confezionata), senza curarsi di chiedere il permesso.
Come del resto nessuno chiedeva l’autorizzazione a portare accessori tipo la larga cintura “bensilah” realizzata a comparti per monete, tabacco o altro e nella quale i soldati usavano infilare daghe, coltelli o pistole. Possiamo dire che l’unica disposizione adottata e mantenuta per la fanteria confinaria con l’ordinanza del 1769 fu l’adozione del moschetto modello 1754 con baionetta, in luogo dei fucili e moschetti artigianali portati fino ad allora; anche le sciabole furono via via sostituite con i modelli regolamentari della fanteria di linea del periodo. All’amministrazione militare Asburgica, sempre in crisi finanziaria, più questi reparti usufruivano di equipaggiamenti propri, più faceva comodo, poiché meno ne dovevano essere forniti, con un gradito alleggerimento delle spese. Nel corso degli anni ci furono varie disposizioni riguardanti i “grenzers” e le loro tenute, quasi tutte disattese. Quella che riuscì ad essere applicata portò ad uniformare il colore della giubba della “hausmontur” che divenne obbligatoriamente marrone scuro per tutti, eliminando quella nera dei transilvani e quella grigia dei valacchi. Nessuno però si prese la briga di intervenire su pantaloni e calzature, veri punti deboli nella dotazione dei soldati dell’esercito Imperiale.
Nel 1798 l’esercito Austriaco adottò un nuovo modello di uniforme, di copricapo e di zaino, ma questo non coinvolse quasi per nulla i confinari i quali, invitati senza insistenze a dotarsi soprattutto della giacca del nuovo taglio reagirono in quasi tutti i casi affermando che, avendo notevoli giacenze del vecchio modello nei magazzini, ritenevano più saggio consumare prima quelle. In realtà pare non fosse sempre vero, e che i “grenzers” preferissero riparare e rattoppare le vecchie uniformi piuttosto di pagarsi quelle nuove; tranne due, infatti, i reggimenti confinari non avevano il proprietario, “l’Inhaber” o comandante onorario, che in tutti i reggimenti di fanteria di linea contribuiva almeno in parte alle spese di equipaggiamento, ed i loro distretti di provenienza non erano solitamente molto floridi finanziariamente.
Le disposizioni del 1798 portarono praticamente solo all’aggiunta di una visiera ai “klobuk” e ai “kaskett” (questi ultimi più che altro portati dagli artiglieri di battaglione e dai reggimenti costituiti da immigrati di origine tedesca), operazione attuata peraltro in un lasso di tempo piuttosto lungo e si iniziò una certa diffusione dei pantaloni all’ungherese blu chiaro, ornati dai cosiddetti “nodi” e filettature gialle e nere ma più spesso solo gialle. Fino ad allora pantaloni azzurri o blu chiaro erano stati portati sovente dai “grenzers”, ma si trattava di modelli tradizionali delle loro etnie, non necessariamente del tipo ungherese.
Nel 1808 venne emanata una nuova, importante disposizione riguardo l’uniforme dei reggimenti di fanteria confinaria, che avrebbero dovuto adottare una sola tenuta sia per il servizio di campagna che di confine; questa doveva comprendere uno “tchako”, una giacca del modello 1808 per la fanteria di linea ungherese ma di colore marrone scuro (color caffè) con i tipici paramani a punta ornati dai caratteristici “barentatzen”, ed i pantaloni all’ungherese, i “beinkleider”, color blu chiaro, aderenti alla gamba, con calzature pure all’ungherese.
Le bandoliere e tutte le buffetterie dovevano diventare nere. Gli illustratori e pittori sia dell’epoca che di periodi successivi si sono affrettati a illustrarci i “grenzers” nella nuova tenuta, ma in realtà le cose andarono ben diversamente: un solo reggimento si adeguò nel 1809, due nel 1811, sei nel 1813 e i rimanenti otto adottarono la nuova uniforme al termine della campagna del 1814.
Il copricapo in tutti i casi non venne cambiato prima del 1816, poiché rimaneva in uso il “klobuk”, che, in alcuni casi, venne munito di sottogola; addirittura gli ornamenti dei paramani furono quasi da tutti i reparti ignorati fino al 1815.
Le buffetterie rimasero bianche a lungo, anche quando le nuove uniformi erano già state distribuite, e l’adozione definitiva degli zaini continuò a procedere con grande lentezza.
La tenuta effettiva dei reggimenti di fanteria confinaria si può dedurre dalla testimonianza dei francesi che dopo la campagna del 1809 ottennero i territori di Dalmazia e parte della Croazia, “ereditando” sei reggimenti di “grenzers” che passarono al loro servizio: il governatore francese Marmont parla delle uniformi di costoro descrivendo giacche bianche e giacche marroni, pantaloni bianchi o azzurri, “klobuk” con o senza visiera addirittura, bisacce in luogo di zaini. Addirittura scrive di calze multicolori e fucili artigianali tradizionali, forse però in uso solo presso i soldati più anziani, che effettuavano solo il servizio di confine. Come si vede, per quello che riguarda le uniformi, dal tempo dell’entrata dei “grenzers” nella Fanteria di Linea austriaca nel 1769, non doveva essere cambiato molto.
Per non buttare al macero decine di migliaia di giubbe nuove immagazzinate, in tutto l’esercito asburgico si era provveduto, al momento dell’adozione del modello 1798 (che per inciso fu una vera rivoluzione nel taglio degli indumenti militari del periodo), ad adattare e trasformare il vecchio modello 1767/70 affinché somigliasse al nuovo, tanto che tra i reggimenti di fanteria e le truppe tecniche durante la campagna del 1809 queste uniformi erano ancora in distribuzione.
La semplice trasformazione avveniva accorciando la giacca, chiudendo i risvolti posteriori e riducendo la superficie di quelli anteriori, fissati ora in posizione aperta nelle dimensioni e foggia del modello 1798.
Il colletto rovesciato e i paramani non venivano toccati e rimanevano anche le settecentesche tasche laterali orizzontali. Il gilet, o “leibel” veniva privato delle maniche ed era accorciato affinché non scendesse sotto la linea della vita.
Certo i più entusiasti nell’approfittare di queste operazioni di adattamento delle uniformi, per i motivi già noti, furono i confinari, che ci appaiono allora ben diversi dalle immagini propinateci dagli illustratori, soprattutto moderni, sulle loro tenute.
Descrivendo l’uniforme di un soldato della fanteria confinaria dell’Impero d’Austria tra il 1790 e diciamo il 1811 potremmo dire che:
il copricapo era il “klobuk” con visiera;
le buffetterie erano bianche;
la giubba era bianca, ma più spesso marrone (casalinga);
i pantaloni erano alla croata bianchi o azzurri o all’ungherese blu chiaro;
una bisaccia di stoffa pesante sostituiva lo zaino;
il mantello sostituiva quasi sempre il cappotto;
le calzature erano stivaletti etnici o scarpe alte all’ungherese;
l’alto cinturone “bensilah” fu portato per buona parte del periodo in esame.
Nel complesso si può affermare che l’uniformità non era una caratteristica dei “grenzers” che anche nello stesso reparto facevano convivere tenute diverse, facendo imbestialire i vecchi, rigidi e ortodossi Generali dell’Esercito Imperiale, che già ne avevano chiesto lo scioglimento nel 1798, quando si erano visti ammutinamenti e tumulti conseguenti alla richiesta di un più rigido addestramento dei confinari come fanteria di linea. L’intervento soprattutto dell’Arciduca Carlo aveva evitato lo scioglimento dei reggimenti, riportandoli fuori dalla Linea tornando alla vecchia denominazione di Fanteria Confinaria, prevalendo sulla rigida casta militare che continuava a non voler considerare utile l’impiego della fanteria leggera sul campo. .
La scarsa uniformità nelle tenute si può pensare fosse dovuta sia allo spirito libero e zingaresco di alcune etnie, come al fatto che dal 1769 fu stabilito che, con l’adozione dell’uniforme regolamentare, le forniture venissero impostate a scaglioni di un terzo degli uomini di un reparto, a livello di compagnia, ma è doveroso dire che tra una consegna e l’altra potevano passare anche due anni, in quanto i reparti di fanteria confinaria erano gli ultimi nella scala delle priorità perché ritenuti in qualche modo già dotati di proprie uniformi.
E’ giusto ricordare che dalle testimonianze dell’epoca si capisce che la situazione degli equipaggiamenti e delle uniformi dell’esercito Imperiale Asburgico era perlomeno discutibile: le manifatture consegnavano capi troppo spesso mal fatti e mal confezionati, realizzati in fretta per non pagare le penali previste per la non osservanza dei tempi di consegna; a differenza della maggior parte degli eserciti europei, quello austriaco prevedeva quattro taglie anziché tre, ma le aziende per risparmiare sui materiali tendevano a realizzare soprattutto le più piccole, con risultati immaginabili; lo stesso Arciduca Carlo nel 1793 scriveva che i pantaloni consegnati alla sua Armata erano impossibili da indossare persino a lui, un magrolino alto 1 metro e 53 cm.
La situazione delle calzature era drammatica: oltre che ad essere realizzate con materiali di qualità inferiore, presentavano sovente suole di carton-cuoio che in caso di pioggia si disfacevano addirittura, tanto da far scrivere al principe Hohenlohe che il percorso delle sue truppe era riconoscibile dalle suole che ne punteggiavano il cammino. Oltre a ciò il trascurato immagazzinaggio portava ad avere calzature “dure, secche e importabili se non per procurarsi escoriazioni ai piedi”. Per questi motivi i veri saccheggi effettuati dalle truppe asburgiche nelle città e villaggi che attraversavano riguardavano soprattutto le scarpe: all’inizio della campagna del 1809 il FML Jellacic a Monaco ne ordinava la requisizione di 50.000 paia.
Sulla scorta di informazioni di questo tipo risulta difficile non comprendere il pur rigido Consiglio Aulico Imperiale se permetteva a dei soldati considerati ottimi combattenti devoti alla Corona di amministrare da sé i loro equipaggiamenti, dopotutto al momento dell’assegnazione di costoro alla fanteria di linea regolare l’Esercito Imperiale acquisiva il controllo su ben diciassette nuovi reggimenti di circa tremila uomini ciascuno: un bell’aiuto e un notevole rinforzo anche se si trattava di “bugiardi, sporchi, beoni indisciplinati” però abili tiratori e ferocissimi verso i nemici, ai quali non concedevano quartiere.
Ricapitolando, è corretto ritenere che la “feldmontur” dei “grenzers” comprendeva soprattutto la giacca della fanteria di linea modello 1767/70, a volte di taglio ungherese; poi, e certo non l’ebbero tutti i reggimenti, quella modello 1798, ma si può credere che la più usuale doveva essere il risultato della modifica della prima affinché somigliasse alla seconda; potremmo definirla modello 1770/98.
Queste giacche erano dunque quelle della tenuta “bianca” dei confinari durante le campagne: forse non ebbero mai la giacca modello 1806 o 1808. In realtà, come sappiamo la tenuta era quasi per tutti la “hausmontur”, e le giacche marroni erano certamente di fogge diverse tra loro, rispecchiando i modelli tradizionali delle zone dove venivano realizzate. I pantaloni tradizionali delle varie etnie confinarie erano quasi sempre bianchi, ma quando erano azzurri, non necessariamente si trattava del modello ungherese: i “beinkleider” si riconoscono per l’aderenza a tutta la gamba, assicurata dal polpaccio alla caviglia da una fila di gancetti interni. I “nodi ungheresi”, poi, erano sempre di cordone giallo e nero, in volute spesso di disegno elaborato. I pantaloni “alla croata” erano realmente aderenti più che altro dal ginocchio in giù e non presentavano gancetti se non alla caviglia; se erano ornati dai “nodi” questi erano di cordoncini monocolore bianchi o rossi, gialli quando si cominciarono a portare i “beinkleider” e in tutti i casi a volute molto semplici.
Le tavole che seguono illustrano una tipologia di tenute della Fanteria Confinaria.
Appurato che con le guarnigioni militari non si ottenevano risultati se non sporadici e non volendo abbandonare estensioni anche notevoli di terreno all’influenza turca, il governo Asburgico trovò la formula più adatta, quella del contadino-soldato.
Si invogliarono con elargizioni di terreni, esenzione fiscale, donazioni in bestiame e sementi, libertà di culto (per uno stato cattolicissimo era molto importante). Si incentivarono i volontari degli stati tedeschi, sempre presenti nell’esercito Imperiale, a trasferirsi nelle zone di confine all’atto del congedo, e si favorirono migrazioni di “specialisti” quali i coltivatori tirolesi e i tessitori lombardi.
In cambio la popolazione maschile dai 16 ai 60 anni era tenuta per sette mesi all’anno al servizio di guardia confinaria. Inquadrati in battaglioni e poi reggimenti, questi personaggi si dimostrarono fin da subito molto efficaci nel reagire alle incursioni dei turchi; il servizio di frontiera era effettuato da pattuglie di 8 uomini che erano supportati da torri di guardia e un sistema di allarme tramite falò, che segnalavano il pericolo ad una compagnia stanziata “a meno di una mezz’ora di buon cammino”. Battaglioni di formazione prima, e omogenei poi di fanteria confinaria furono impiegati nelle guerre di successione del settecento; conosciuti genericamente come “Panduri”, slavoni, dalmati, croati, valacchi, germanici, transilvani, ungheresi (detti szeckel) componevano questi reparti, caratteristici per la tenuta che ne identificava l’etnia. Nelle formazioni militari il loro ruolo era quello della fanteria leggera dell’epoca: esplorazione, schermaglia, imboscate, azioni di disturbo.
Durante le campagne i confinari sfoggiavano giacche o corpetti di vari colori, cariche di cordoni o alamari, pantaloni aderenti pure colorati e copricapi in feltro, cilindrici o troncoconici che a volte non presentavano neppure i colori o i distintivi imperiali; molto caratteristico il mantello rosso usato quasi da tutti; i transilvani, o “siebenburgen” ne portavano uno nero con una sorta di maniche e un cappuccio. Nel servizio di frontiera la tenuta era ben diversa, la “hausmontur” (potremmo dire “uniforme casalinga”) era costituita da tradizionali indumenti contadini molto meno vistosi: croati e slavoni portavano una giacca marrone scuro con pantaloni bianchi o azzurri, i valacchi giacca grigia e pantaloni bianchi, i transilvani giacche nere e pantaloni azzurri o blu, i trapiantati degli stati tedeschi una uniforme militare totalmente bianca con un tricorno. L’equipaggiamento era realizzato da artigiani delle località di provenienza, in cuoio naturale con l’eccezione della giberna, annerita; lo zaino era sostituito da una bisaccia di stoffa scura, delle sue stesse dimensioni con cinghie in cuoio naturale. E’ da considerare che più che di un’uniforme si tratta di una tenuta, le giubbe erano realizzate spesso dai familiari, e potevano non essere uguali tra loro, con taglio diverso a seconda delle zone e delle etnie e addirittura dell’estro di chi le confezionava. Quello che le uniformava era il colore dei paramani (non sempre anche del colletto), che in combinazione con quello dei bottoni permetteva di identificare i reparti.
Nel 1769 il governo Asburgico decise che la fanteria confinaria dovesse entrare a far parte della Fanteria di Linea, e la prima disposizione emanata riguardava l’adozione dell’uniforme regolamentare dell’Esercito, la “feldmontur” o uniforme da campagna; tale uniforme doveva essere portata quando i reggimenti di confinari partecipavano alle campagne in caso di guerra, mentre per il servizio di confine si sarebbe mantenuta la tradizionale “hausmontur”.
I figurinisti e gli illustratori ci mostrano come avrebbero dovuto essere i grenzers, con il “kaskett” e la giacca bianca con paramani, colletto e risvolti del colore distintivo reggimentale e i pantaloni lunghi alla caviglia con filettature dello stesso colore, cappotto e zaino regolamentari. In realtà, evidentemente per problemi economici o di crisi manifatturiera fu subito disposto che la fanteria confinaria portasse i propri pantaloni tradizionali, mantenesse il mantello (alcuni reggimenti lo avevano ancora nel 1814), e gli zaini continuarono a essere sostituiti dalle bisacce fino allora portate.
Al “kaskett” fu pressoché da tutti preferito, senza che nessuno intervenisse per vietarlo, il tradizionale “klobuk”, una sorta di fez cilindrico di feltro alto 18/20 cm. oppure lo “tschakohaube” troncoconico; le calzature erano in buona percentuale quelle casalinghe, stivaletti alti sopra la caviglia di varie fogge, stringati e non, molto più apprezzate di quelle fornite dall’Amministrazione. Tra l’altro i tre reggimenti slavoni: Brooder, Gradiscaner e Peterwardeiner, da subito avevano chiesto di poter portare anche in campagna la loro “hausmontur” in luogo dell’uniforme regolamentare, cosa che fu loro subito concessa. Diversi altri reggimenti confinari preferirono indossare la loro tenuta tradizionale ben più comoda dell’uniforme della Linea (spesso stretta e mal confezionata), senza curarsi di chiedere il permesso.
Come del resto nessuno chiedeva l’autorizzazione a portare accessori tipo la larga cintura “bensilah” realizzata a comparti per monete, tabacco o altro e nella quale i soldati usavano infilare daghe, coltelli o pistole. Possiamo dire che l’unica disposizione adottata e mantenuta per la fanteria confinaria con l’ordinanza del 1769 fu l’adozione del moschetto modello 1754 con baionetta, in luogo dei fucili e moschetti artigianali portati fino ad allora; anche le sciabole furono via via sostituite con i modelli regolamentari della fanteria di linea del periodo. All’amministrazione militare Asburgica, sempre in crisi finanziaria, più questi reparti usufruivano di equipaggiamenti propri, più faceva comodo, poiché meno ne dovevano essere forniti, con un gradito alleggerimento delle spese. Nel corso degli anni ci furono varie disposizioni riguardanti i “grenzers” e le loro tenute, quasi tutte disattese. Quella che riuscì ad essere applicata portò ad uniformare il colore della giubba della “hausmontur” che divenne obbligatoriamente marrone scuro per tutti, eliminando quella nera dei transilvani e quella grigia dei valacchi. Nessuno però si prese la briga di intervenire su pantaloni e calzature, veri punti deboli nella dotazione dei soldati dell’esercito Imperiale.
Nel 1798 l’esercito Austriaco adottò un nuovo modello di uniforme, di copricapo e di zaino, ma questo non coinvolse quasi per nulla i confinari i quali, invitati senza insistenze a dotarsi soprattutto della giacca del nuovo taglio reagirono in quasi tutti i casi affermando che, avendo notevoli giacenze del vecchio modello nei magazzini, ritenevano più saggio consumare prima quelle. In realtà pare non fosse sempre vero, e che i “grenzers” preferissero riparare e rattoppare le vecchie uniformi piuttosto di pagarsi quelle nuove; tranne due, infatti, i reggimenti confinari non avevano il proprietario, “l’Inhaber” o comandante onorario, che in tutti i reggimenti di fanteria di linea contribuiva almeno in parte alle spese di equipaggiamento, ed i loro distretti di provenienza non erano solitamente molto floridi finanziariamente.
Le disposizioni del 1798 portarono praticamente solo all’aggiunta di una visiera ai “klobuk” e ai “kaskett” (questi ultimi più che altro portati dagli artiglieri di battaglione e dai reggimenti costituiti da immigrati di origine tedesca), operazione attuata peraltro in un lasso di tempo piuttosto lungo e si iniziò una certa diffusione dei pantaloni all’ungherese blu chiaro, ornati dai cosiddetti “nodi” e filettature gialle e nere ma più spesso solo gialle. Fino ad allora pantaloni azzurri o blu chiaro erano stati portati sovente dai “grenzers”, ma si trattava di modelli tradizionali delle loro etnie, non necessariamente del tipo ungherese.
Nel 1808 venne emanata una nuova, importante disposizione riguardo l’uniforme dei reggimenti di fanteria confinaria, che avrebbero dovuto adottare una sola tenuta sia per il servizio di campagna che di confine; questa doveva comprendere uno “tchako”, una giacca del modello 1808 per la fanteria di linea ungherese ma di colore marrone scuro (color caffè) con i tipici paramani a punta ornati dai caratteristici “barentatzen”, ed i pantaloni all’ungherese, i “beinkleider”, color blu chiaro, aderenti alla gamba, con calzature pure all’ungherese.
Le bandoliere e tutte le buffetterie dovevano diventare nere. Gli illustratori e pittori sia dell’epoca che di periodi successivi si sono affrettati a illustrarci i “grenzers” nella nuova tenuta, ma in realtà le cose andarono ben diversamente: un solo reggimento si adeguò nel 1809, due nel 1811, sei nel 1813 e i rimanenti otto adottarono la nuova uniforme al termine della campagna del 1814.
Il copricapo in tutti i casi non venne cambiato prima del 1816, poiché rimaneva in uso il “klobuk”, che, in alcuni casi, venne munito di sottogola; addirittura gli ornamenti dei paramani furono quasi da tutti i reparti ignorati fino al 1815.
Le buffetterie rimasero bianche a lungo, anche quando le nuove uniformi erano già state distribuite, e l’adozione definitiva degli zaini continuò a procedere con grande lentezza.
La tenuta effettiva dei reggimenti di fanteria confinaria si può dedurre dalla testimonianza dei francesi che dopo la campagna del 1809 ottennero i territori di Dalmazia e parte della Croazia, “ereditando” sei reggimenti di “grenzers” che passarono al loro servizio: il governatore francese Marmont parla delle uniformi di costoro descrivendo giacche bianche e giacche marroni, pantaloni bianchi o azzurri, “klobuk” con o senza visiera addirittura, bisacce in luogo di zaini. Addirittura scrive di calze multicolori e fucili artigianali tradizionali, forse però in uso solo presso i soldati più anziani, che effettuavano solo il servizio di confine. Come si vede, per quello che riguarda le uniformi, dal tempo dell’entrata dei “grenzers” nella Fanteria di Linea austriaca nel 1769, non doveva essere cambiato molto.
Per non buttare al macero decine di migliaia di giubbe nuove immagazzinate, in tutto l’esercito asburgico si era provveduto, al momento dell’adozione del modello 1798 (che per inciso fu una vera rivoluzione nel taglio degli indumenti militari del periodo), ad adattare e trasformare il vecchio modello 1767/70 affinché somigliasse al nuovo, tanto che tra i reggimenti di fanteria e le truppe tecniche durante la campagna del 1809 queste uniformi erano ancora in distribuzione.
La semplice trasformazione avveniva accorciando la giacca, chiudendo i risvolti posteriori e riducendo la superficie di quelli anteriori, fissati ora in posizione aperta nelle dimensioni e foggia del modello 1798.
Il colletto rovesciato e i paramani non venivano toccati e rimanevano anche le settecentesche tasche laterali orizzontali. Il gilet, o “leibel” veniva privato delle maniche ed era accorciato affinché non scendesse sotto la linea della vita.
Certo i più entusiasti nell’approfittare di queste operazioni di adattamento delle uniformi, per i motivi già noti, furono i confinari, che ci appaiono allora ben diversi dalle immagini propinateci dagli illustratori, soprattutto moderni, sulle loro tenute.
Descrivendo l’uniforme di un soldato della fanteria confinaria dell’Impero d’Austria tra il 1790 e diciamo il 1811 potremmo dire che:
il copricapo era il “klobuk” con visiera;
le buffetterie erano bianche;
la giubba era bianca, ma più spesso marrone (casalinga);
i pantaloni erano alla croata bianchi o azzurri o all’ungherese blu chiaro;
una bisaccia di stoffa pesante sostituiva lo zaino;
il mantello sostituiva quasi sempre il cappotto;
le calzature erano stivaletti etnici o scarpe alte all’ungherese;
l’alto cinturone “bensilah” fu portato per buona parte del periodo in esame.
Nel complesso si può affermare che l’uniformità non era una caratteristica dei “grenzers” che anche nello stesso reparto facevano convivere tenute diverse, facendo imbestialire i vecchi, rigidi e ortodossi Generali dell’Esercito Imperiale, che già ne avevano chiesto lo scioglimento nel 1798, quando si erano visti ammutinamenti e tumulti conseguenti alla richiesta di un più rigido addestramento dei confinari come fanteria di linea. L’intervento soprattutto dell’Arciduca Carlo aveva evitato lo scioglimento dei reggimenti, riportandoli fuori dalla Linea tornando alla vecchia denominazione di Fanteria Confinaria, prevalendo sulla rigida casta militare che continuava a non voler considerare utile l’impiego della fanteria leggera sul campo. .
La scarsa uniformità nelle tenute si può pensare fosse dovuta sia allo spirito libero e zingaresco di alcune etnie, come al fatto che dal 1769 fu stabilito che, con l’adozione dell’uniforme regolamentare, le forniture venissero impostate a scaglioni di un terzo degli uomini di un reparto, a livello di compagnia, ma è doveroso dire che tra una consegna e l’altra potevano passare anche due anni, in quanto i reparti di fanteria confinaria erano gli ultimi nella scala delle priorità perché ritenuti in qualche modo già dotati di proprie uniformi.
E’ giusto ricordare che dalle testimonianze dell’epoca si capisce che la situazione degli equipaggiamenti e delle uniformi dell’esercito Imperiale Asburgico era perlomeno discutibile: le manifatture consegnavano capi troppo spesso mal fatti e mal confezionati, realizzati in fretta per non pagare le penali previste per la non osservanza dei tempi di consegna; a differenza della maggior parte degli eserciti europei, quello austriaco prevedeva quattro taglie anziché tre, ma le aziende per risparmiare sui materiali tendevano a realizzare soprattutto le più piccole, con risultati immaginabili; lo stesso Arciduca Carlo nel 1793 scriveva che i pantaloni consegnati alla sua Armata erano impossibili da indossare persino a lui, un magrolino alto 1 metro e 53 cm.
La situazione delle calzature era drammatica: oltre che ad essere realizzate con materiali di qualità inferiore, presentavano sovente suole di carton-cuoio che in caso di pioggia si disfacevano addirittura, tanto da far scrivere al principe Hohenlohe che il percorso delle sue truppe era riconoscibile dalle suole che ne punteggiavano il cammino. Oltre a ciò il trascurato immagazzinaggio portava ad avere calzature “dure, secche e importabili se non per procurarsi escoriazioni ai piedi”. Per questi motivi i veri saccheggi effettuati dalle truppe asburgiche nelle città e villaggi che attraversavano riguardavano soprattutto le scarpe: all’inizio della campagna del 1809 il FML Jellacic a Monaco ne ordinava la requisizione di 50.000 paia.
Sulla scorta di informazioni di questo tipo risulta difficile non comprendere il pur rigido Consiglio Aulico Imperiale se permetteva a dei soldati considerati ottimi combattenti devoti alla Corona di amministrare da sé i loro equipaggiamenti, dopotutto al momento dell’assegnazione di costoro alla fanteria di linea regolare l’Esercito Imperiale acquisiva il controllo su ben diciassette nuovi reggimenti di circa tremila uomini ciascuno: un bell’aiuto e un notevole rinforzo anche se si trattava di “bugiardi, sporchi, beoni indisciplinati” però abili tiratori e ferocissimi verso i nemici, ai quali non concedevano quartiere.
Ricapitolando, è corretto ritenere che la “feldmontur” dei “grenzers” comprendeva soprattutto la giacca della fanteria di linea modello 1767/70, a volte di taglio ungherese; poi, e certo non l’ebbero tutti i reggimenti, quella modello 1798, ma si può credere che la più usuale doveva essere il risultato della modifica della prima affinché somigliasse alla seconda; potremmo definirla modello 1770/98.
Queste giacche erano dunque quelle della tenuta “bianca” dei confinari durante le campagne: forse non ebbero mai la giacca modello 1806 o 1808. In realtà, come sappiamo la tenuta era quasi per tutti la “hausmontur”, e le giacche marroni erano certamente di fogge diverse tra loro, rispecchiando i modelli tradizionali delle zone dove venivano realizzate. I pantaloni tradizionali delle varie etnie confinarie erano quasi sempre bianchi, ma quando erano azzurri, non necessariamente si trattava del modello ungherese: i “beinkleider” si riconoscono per l’aderenza a tutta la gamba, assicurata dal polpaccio alla caviglia da una fila di gancetti interni. I “nodi ungheresi”, poi, erano sempre di cordone giallo e nero, in volute spesso di disegno elaborato. I pantaloni “alla croata” erano realmente aderenti più che altro dal ginocchio in giù e non presentavano gancetti se non alla caviglia; se erano ornati dai “nodi” questi erano di cordoncini monocolore bianchi o rossi, gialli quando si cominciarono a portare i “beinkleider” e in tutti i casi a volute molto semplici.
Le tavole che seguono illustrano una tipologia di tenute della Fanteria Confinaria.